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Escursioni.
Erice.
Centro in provincia di Trapani situato a 750 m s.l.m. sulla vetta dell'omonimo monte, Erice mantiene, in una meravigliosa sintesi di storia, arte e natura paesaggistica, il tipico aspetto e fascino di un antico borgo medievale fortificato perfettamente integrato con la morfologia del monte ed armoniosamente incorniciato nella splendida natura del paesaggio circostante.
L'impianto urbano ha una forma triangolare ed è delimitato sul lato occidentale da mura ciclopiche interrotte da torrioni e da tre porte normanne: porta Spada, porta Carmine e porta Trapani.
Le mura della città presentano fasi e tecniche diverse, tra il periodo Elimo e quello Punico (blocchi con incisi caratteri punici). Tra il 4° secolo a. C. ed il 2° secolo a. C. si data la necropoli tardo-punica.
A sud-est dell'abitato si trova il bellissimo giardino del Balio, all'interno del quale svetta il castello Pepoli, costruito in età normanna.
Risale invece al 12° secolo il castello di Venere, una tipica fortezza medievale costruita nell'area dove un tempo doveva sorgere l'antico santuario della Venere Ericina.
Erice accoglie più di sessanta chiese, molte delle quali rappresentano documenti architettonici di grande pregio e preziosa testimonianza storica: tra queste la chiesa di San Martino, di San Cataldo, di San Giuliano (costruita dai normanni intorno all'anno Mille ed interessante per la sua facciata di pietra rosa), di San Giovanni Battista (di origine medievale, fu ricostruita nel '600 e, riconoscibile dalla sua cupola bianca che svetta isolata all'estremità orientale della città, conserva intatto il portale gotico d'ingresso).
Tra le chiese emerge la Matrice, dedicata all'Assunta ed eretta nei primi anni del 14° secolo cui si aggiunse successivamente il protiro gotico davanti al magnifico portale ogivale. L'interno conserva una Madonna col Bambino in marmo, opera di Domenico Gagini del 15° secolo, ed una ancona marmorea cinquecentesca. Trecentesco è il massiccio campanile isolato della chiesa, merlato ed ornato di bifore e monofore, di chiara ispirazione chiaramontana.
Il cuore della città è rappresentato dalla piazza Umberto I, sulla quale si affaccia il Municipio, che ospita il Museo Cordici. Nell'atrio del museo si trova l'Annunciazione di Antonello Gagini, mentre all'interno del museo sono presenti collezioni di monete, opere pittoriche e reperti preistorici, punici e greci provenienti dalla necropoli ericina. Tra questi la splendida testina di Afrodite del 5° secolo a. C..
tra storia . . . . .
Di origine mitica, la città ebbe il nome di Iruka dagli Elimi che l'abitarono e che alcuni storici hanno identificato con i Sicani, altri hanno sostenuto che essi provenissero dalle coste Liguri ed altri ancora dall'Anatolia dopo la distruzione di Troia. Gli Elimi costruirono la cinta muraria e vi eressero il tempio dedicato al culto di Venere, dea della fecondità e dell'amore.
Nel 6° secolo a. C. Erice fu occupata dai Cartaginesi che la controllarono fino al 241 a. C. quando passò ai Romani in seguito alla vittoria di Lutazio Catulo nella battaglia delle Egadi. Già da allora, comunque, era stata pressoché abbandonata dagli abitanti che si trasferirono a Drepanum (centro portuale di Erice).
Mantenne invece la sua importanza il santuario di una divinità locale della natura che ebbe culto con il nome di Venere Ericina assimilata a Ibla dai Sicani, ad Astarte dai Punici (Cartaginesi), a Toruc dai Fenici, ad Afrodite dai Greci ed a Venere dai Romani; di esso restano scarse tracce sulla collina del castello.
Dopo un periodo di decadenza, Erice in età medievale fu ricostruita prima dagli arabi divenendo una fortezza dei Saraceni che la chiamarono Gebel-Hamed e successivamente dai normanni per i quali fu Monte San Giuliano. Sotto il governo borbonico Erice invece assunse statuto di città demaniale.
. . . . . e legenda
Erice, figura mitologica greca e figlio di Posidone, aveva dato il nome alla capitale degli Elimi e al monte omonimo. Il suo nome è connesso con il mito dei buoi di Gerione catturati da Eracle: uno di questi era riuscito a fuggire dall'armento ed era stato catturato da Erice; sfidato da Eracle alla lotta fu sconfitto tre volte e dovette soccombere; secondo la tradizione il palio della gara tra i due erano, per Erice l'intero armento di buoi, per Eracle la regione degli Elimi.
Eventi e manifestazioni
A Erice ha sede la fondazione Ettore Maiorana, che, raccogliendo ed ospitando continuamente delegazioni e convegnisti di fama internazionale, organizza annualmente corsi su temi dedicati essenzialmente alla ricerca scientifica; a questo suo compito istituzionale la fondazione affianca l'organizzazione di incontri periodici e seminari di altre materie, anche umanistiche (storia, diritto, paleografia, etc.).
L'appuntamento fisso e che ormai da molti anni costituisce l'evento culturale più importante per la cittadina, è comunque "la Settimana della Musica Medievale e Rinascimentale" che diffonde magicamente nelle chiese le musiche antiche recuperate alla memoria da artisti di fama internazionale.
Mozia.
A poca distanza dal litorale siciliano, nel bassissimo specchio di mare della laguna dello Stagnone di Marsala, emerge Mozia, l'odierna isola di San Pantaleo collegata alla terraferma da un argine sommerso che riappare con la bassa marea.
L'isola, estesa 45 ettari circa, fu fondata dai Fenici nell'8° secolo a. C. (in seguito all'arrivo dei Greci nella Sicilia orientale, come afferma Tucidide e oggi si tende ad ammettere) e acquistó presto importanza commerciale e militare divenendo caposaldo della strategia cartaginese in Sicilia.
Nel 397 a. C. fu assediata e distrutta da Dionisio I: in seguito a ció, la popolazione superstite si rifugió sulla terraferma, dove fondó Lilibeo, che ereditó la funzione strategica dell'isola.
I primi scavi archeologici risalgono al '700 e confermano l'antica origine fenicio-punica di cui si trova testimonianza giá nei testi del geografo Cluverio, risalenti alla seconda decade del '600.
Dei resti archeologici, all'8° secolo a. C. risale la necropoli arcaica (una delle meglio conservate della Sicilia fenicio-punica) che ha restituito urne in terracotta, pietre tombali in arenaria, ceramica fenicia e di importazione corinzia; mentre del 7° secolo a. C. é il thofet che ha fornito in grande quantitá urne cinerarie (semplici e dipinte), cippi e stele votive (figurati e non), immagini aniconiche e maschere fittili demoniache.
Al 6° secolo a. C. risalgono gli interventi urbanistici piú importanti: la monumentale cinta muraria di Mozia (delle quattro porte, di cui erano originariamente dotate le mura, se ne possono ammirare oggi soltanto due, una a nord e l'altra a sud); il bacino portuale (kothon); il monumentale santuario Cappiddazzu (presso cui é stata ritrovata la bellissima statua del cosiddetto Auriga di Mozia, testimone della profonda commistione delle culture fenicia e greca); la strada di collegamento con il continente, cui é strettamente legato l'inizio della frequentazione sepolcrale del sito di Birgi, appunto sulla costa antistante l'isola, che sostituí la vecchia necropoli.
A pochi anni prima della distruzione di Mozia, risale infine la cosiddetta casa dei Mosaici, una sontuosa abitazione con peristilio che rivela, nei suoi resti, bellissimi pavimenti musivi di origine ellenica raffiguranti animali in lotta.
Sull'isola é anche presente il museo Whitaker, che lega il suo nome all'archeologo inglese Giuseppe Whitaker che si stabilí in Sicilia alla fine dell'800 e che ospita i numerosi reperti archeologici dell'isola e di Lilibeo. Tra questi reperti la statua dell'Auriga, magnifico elemento marmoreo raffigurante un uomo vestito di una lunga tunica, databile alla prima metá del 5° secolo a. C., le stele del thophet, numerosi vasi artistici, maschere rituali, ecc..
Selinunte.
Antica colonia di Megara Iblea sulla costa sud-occidentale della Sicilia, fu fondata, secondo Diodoro ed alcuni studi recenti, nel '650 circa a. C., e, secondo Tucidide, nel '627 circa a. C..
La città fu in lotta costante con i vicini stabilimenti dei Fenici e degli Elimi, salvo forse il periodo della battaglia di Imera (480 a. C.); durante l'invasione ateniese della Sicilia (415-413 a. C.), Selinunte cooperò validamente con Siracusa.
Nel 409 a. C. la città fu distrutta da un poderoso esercito cartaginese: pochi anni dopo gli antichi abitanti ritornarono ma vissero da allora in poi, salvo brevi periodi, in piena dipendenza da Cartagine.
Soffrì molto durante la prima guerra punica, fino a quando venne distrutta nuovamente dai cartaginesi (250 a. C.): un misero borgo sopravvisse però in epoca romana e bizantina sino all'anno 827 d. C., quando vi si installarono gli arabi.
Topografia.
La città si elevava su un altopiano rettangolare percorso da due fiumi, il Cottone a est, alla foce del quale era il porto (restarono avanzi di magazzini e della banchina) e il Selinos a ovest (da cui il nome). Era cinta da mura di cui restarono tratti sul lato ovest e tutto il lato est, dove è stato messo in luce un lungo settore di muraglia, collegato con un sistema di torri; tre porte principali si aprivano nella cinta, oltre ad una postierla con pseudoarco e gradini sul lato nord.
L'acropoli, sita presso il mare, era anch'essa cinta da mura di varie fasi, ancora oggi in piedi; ad un primo circuito di età arcaica seguì, tra la fine del 6° secolo e l'inizio del 5° secolo a. C., l'erezione di una seconda cortina turrita, più ampia, con la porta principale a nord e il sottopassaggio a ovest; l'impianto stradale dell'acropoli, con due vie perpendicolari principali che la dividevano in 4 parti, ciascuna con insulae rettangolari limitate da vie secondari parallele alle prime, risale al 4° secolo a. C.. Sul tratto pianeggiante dell'acropoli sorgono sei edifici sacri principali, oltre ad altari, edicole, etc.: il più antico è il tempietto delle piccole metope di fine 7° secolo inizi 6° secolo a. C., cui appartengono forse le più antiche sculture metopali di Selinunte; segue il tempio C, esastilo, periptero, allungato (cella con pronao e opistodomo), con gorgoneion fittile che decorava il centro di frontoni e metope scolpite in stile arcaico della prima metà del 6° secolo a. C., con due altari.
Il temenos primitivo comprendeva un megaron (a 'S') e un altro tempietto. Seguono poi i templi 'A' e 'O', esastili, con pronao e opistodomo in antis del 490-480 a. C., il tempio 'D' esastilo, della metà del secolo 6° a. C. sorto forse sul sito di un tempio più antico, e il tempietto 'B' noto come il tempietto di Empedocle, del 4° secolo a. C., costituito da una edicola prostila, notevole per la ricca policromia. Gli scavi dell'acropoli hanno messo in luce elementi da facies punica di Selinunte (fine 5°-3° secolo a. C.), un'area sacra destinata al sacrificio di rito punico, pavimenti di case con simboli di Tanit.
Sul colle a est della città dell'acropoli sorgevano altri tre templi, dorici: il primo da nord è il tempio 'G' dedicato a Zeus o ad Apollo, colossale (metri 113 x 54 circa), ottastilo (altezza colonne metri 16; diametro metri 3,4), ipetrale, con triplice ordine di colonne nella cella; quello mediano F esastilo con metope scolpite sulla fronte orientale, della metà del 6° secolo a. C.; il tempio 'E', più vicino al mare, di cui è stata compiuta di recente l'anastilosi, esastilo, con colonne e scanalature semicircolari e metope a bassorilievo sul pronao, della prima metà del 5° secolo a. C..
Un santuario di divinità ctonie sulla collina detta della Gaggera a ovest del Selinos, era dedicato a Demetra Malophoros e a Ecate: aveva la forma di megaron senza colonne, risalente alla fine del 7° secolo a. C., fu rifatto e ampliato nei primi decenni del 6° secolo a. C. e con propylon della seconda metà del 5° secolo a. C.. Il tempietto, prostilo con elementi ionici nella cornice, era fiancheggiato da due portici.
A poca distanza da questo santuario era il piccolo temenos dedicato a Zeus Meilichios associato forse a Pasikrateia e costituito da due altari (rinvenute stele gemine raffiguranti una figura maschile e una femminile). Nelle vicinanze è un edificio detto tempio 'M', piuttosto un altare o una fontana monumentale.
Due necropoli si estendono sui fianchi dei colli Galera e Baiazzo a nord della città, e una terza nella località Manicalunga a nord-ovest del santuario di Demetra Malophoros; le prime due, a inumazione, hanno dato molti vasi protocorinzi e corinzi; la terza, a incinerazione, ceramica attica del 5° secolo a. C..
Segesta.
Scenario dei secoli di storia fra i più significativi della tradizione della Sicilia, Segesta si presenta oggi come un vero e proprio labirinto di rovine a testimonianza, insieme ai resti delle mura monumentali, delle vestigia delle civiltà del passato.
Segesta, il cui nome deriva, secondo una remota leggenda, dalla ninfa Egesta che aveva ospitato Enea durante uno dei suoi viaggi, era una antica città della Sicilia nord-occidentale nel territorio degli Elimi.
Lottò a lungo contro la vicina Selinunte, poi si alleò alle città di origine ionica come Leontini nell'avversione alla dorica Siracusa. Atene intervenne allora a sostegno di Segesta e Leontini prima nel 433 a. C., poi con la grande spedizione del 415-413 a. C. terminata in un grande disastro.
Segesta favorì in seguito i cartaginesi e fu pertanto distrutta nel 307 a. C. da Agatocle, che la denominò Diceopoli ("città della giustizia" o "della punizione").
Nella lotta tra Roma e Cartagine, Segesta tenne fedelmente per la prima giustificando la scelta come dovuta all'antica parentela in quanto i Segestani ritenevano che la loro città fosse stata fondata da Enea. Per questi motivi sentimentali e per la fedeltà di Segesta, la città fu poi singolarmente prediletta da Roma.
L'antica città occupava la sommità e le pendici del monte Barbaro, non molto distante dal golfo di Castellammare dove doveva essere l'antico emporio marittimo. Era circondata da due cinte di mura, l'esterna più antica, ma più volte restaurate (varie tecniche murarie), l'interna costruita forse dopo il 307 a. C. utilizzando materiale di reimpiego.
Della città si conosce poco: alcuni saggi di scavo hanno messo in luce gli strati più antichi, risalenti al 6° secolo a. C.; altre indagini presso il teatro hanno permesso di ipotizzare che Segesta, nel 397 a. C., sia stata ricostruita sullo stesso sito con impianto ippodameo simile a Solunto.
I monumenti più conosciuti sono il cosiddetto tempio e il teatro.
Il tempio, uno dei simboli dell'archeologia siciliana più noti nel mondo, sorge fuori delle mura su una collinetta rivelando, con il suo perimetro che misura circa 60 x 26 metri, tutta la sua imponenza; è dorico, esastilo, con colonne non scanalate, metope lisce, frontoni bassi (ultimo trentennio del 5° secolo a. C.); si è sempre pensato che fosse un tempio non finito, ma è stata anche avanzata l'ipotesi di un peristilio delimitante uno spazio impetrale in cui si sarebbe svolto, presso un altare provvisorio, un culto Elimo. Il teatro, luogo per eccellenza delle rappresentazioni dei classici greci e latini, ha una cavea, di cui si conserva la parte inferiore con venti gradinate, divisa in sette cunei; alla scena con parasceni decorati da figure di Pan come telamoni, databile forse dalla metà del 3° secolo a. C., fu aggiunto un proscenio romano.
Alle pendici orientali del monte Barbaro sono venuti in luce resti di un santuario di culto probabilmente Elimo, con due templi dorici del 6° e 5° secolo a. C.. Il santuario era collegato alla città tramite due strade scavate nella roccia; lungo una di queste strade sono state rinvenute alcune piccole edicole sacre.
La monetazione del 5° secolo a. C. risente l'influsso di quella siracusana e di Eveneto; il didramma porta la ninfa Egesta e, al rovescio, il cane; il tetradramma un giovane cacciatore con clamide, pileo e cani, e al rovescio la quadriga. Nel periodo romano compare Enea con Anchise e testa velata con corona turrita.
Riserva naturale orientata dello Zingaro.
La riserva naturale orientata dello Zingaro, la prima ad essere istituita in Sicilia dall'Assessorato Regionale del Territorio e Ambiente della Regione Sicilia con decreto del 1981 ed affidata in gestione all'Azienda Foreste Demaniali della stessa Regione Sicilia, si colloca nella parte Occidentale del Golfo di Castellammare ed in particolare nella penisola di San Vito Lo Capo che si affaccia sul mar Tirreno tra Castellammare del Golfo e Trapani.
La riserva, ricadente per gran parte nel territorio del comune di San Vito Lo Capo e in misura minore nel comune di Castellammare, si estende, per quasi 1700 ettari di natura incontaminata, lungo 7 km di costa e presenta un notevole interesse sotto il profilo geomorfologico, naturalistico e storico.
Il territorio della riserva è formato da calcareniti quaternarie e da rilievi calcarei del Mesozoico di natura dolomitica, con grotte (la più conosciuta è la grotta dell'Uzzo) che testimoniano la presenza di un'antica civiltà contadina e con falesie che, dall'altezza massima di 913 metri del Monte Speziale, degradano ripidamente verso il mare modellando numerose calette di ciottoli bianchi.
Il peculiare aspetto della Riserva è costituito da una gariga a palma nana caratterizzata da una zona costiera a macchia bassa contraddistinta da palme nane, emblema di questa fascia inviolata, ginestre, olivastri, euforbie, alloro e, tra le specie introdotte dall'uomo per la coltivazione, il mandorlo, il frassino da manna, il carrubo e l'uva; e da una parte più alta caratterizzata da una prateria mediterranea ad ampelodesma, contraddistinta principalmente dalla disa, dal barboncino mediterraneo e da alcune specie endemiche quali il timo spinosetto, il giaggiolo siciliano, la speronella e la mandragola autunnale.
La riserva ospita infine diverse specie endemiche di orchidee, la più diffusa delle quali è la cosiddetta orchidea a mezzaluna.
La passeggiata alla riserva dello Zingaro prevede tre percorsi: il primo (sentiero costiero), costituente il sentiero principale della riserva, il più semplice e per questo il più affollato e battuto dai visitatori, costeggia il mare da un estremo all'altro della riserva e collega gli ingressi di San Vito Lo Capo (ingresso nord) e quello di Scopello (ingresso sud); il secondo (sentiero di mezza costa), il più panoramico ma più impegnativo del primo, s'inoltra, attraverso alcune salite intervallati da dei tornanti, nel territorio incrociando la costa e le vette; il terzo (sentiero alto), il più impegnativo e faticoso e per questo riservato agli sportivi, attraversa l'intera riserva dal mare alle cime dei rilievi.
All'interno della riserva si trovano il Museo Naturalistico, il Museo delle Attività Marinare, il Museo della Civiltà Contadina, il Museo della Manna, il Centro di Educazione Ambientale, due aree attrezzate e degli antichi caseggiati rurali adibiti a rifugio.
Riserva di monte Cofano.
La riserva naturale orientata di Monte Cofano, istituita dall'Assessorato Regionale del Territorio e Ambiente della Regione Sicilia con decreto del 25/7/1997 ed affidata in gestione all'Azienda Foreste Demaniali della stessa Regione Sicilia, si colloca all'estremità nord-occidentale della costa siciliana nella provincia di Trapani.
L'area, ricadente interamente nel Comune di Custonaci ed estesa 537,5 ettari, per la sua straordinaria bellezza paesaggistica ed il valore naturalistico, presenta un notevole interesse geomorfologico, floristico e faunistico e riveste altresì un'eccezionale importanza storica.
Monte Cofano, alto 659 metri, è infatti un promontorio montuoso dolomitico del giurassico che si trova sulla costa nord-occidentale della provincia di Trapani e separa due golfi, quello omonimo e quello di Bonagia. L'imponenza e la policromia delle stupende guglie, costituiscono inoltre l'attrattiva principale di questo monte solitario la cui presenza domina la costa che da Trapani porta a San Vito Lo Capo ed in particolare lo splendido litorale di Custonaci sul mar Tirreno.
Questo sito, oltre a contenere informazioni sulla sua tipica vegetazione fortemente caratterizzata dalla gariga a palma nana ed in particolare sulla flora comprendente specie comuni dell'area mediterranea ed altre piante endemiche o rare, offre inoltre l'opportunità per l'approccio alla conoscenza dei primi insediamenti umani in Sicilia. A Cofano esistono infatti diverse grotte appartenenti alla stessa "cultura preistorica" di quelle ben più note dell'Addaura di Palermo e della Grotta del Genovese nell'isola di Levanzo nell'arcipelago delle Egadi.
La storia del monte ha avuto certamente un legame con gli avvenimenti di cui sono stati protagonisti i popoli antichi che si sono insediati in questa estremità della Sicilia (Fenici, Greci, Romani). Su un pianoro, sopra la tonnara, sono stati infatti rinvenuti resti di insediamenti fortificati che costituiscono un sito di interesse archeologico non ancora sottoposto però a studi per la sua identificazione storica.
Di tempi più recenti rimangono specifiche testimonianze nelle famose torri di guardia che costituiscono un'altra prova dell'importanza storica di questo luogo nel contesto più vasto dell'intera isola. Alla base del monte esistono due sentieri, uno lungo la riva e l'altro più interno, attraverso i quali si può effettuare una piacevole passeggiata. Molto più impegnativa ma gratificante, è l'escursione fino in cima al monte da dove si possono ammirare i due golfi sottostanti, i rilievi interni ed in lontananza il Monte Erice.
Gli ambienti della riserva ospitano inoltre diverse specie di uccelli e, con un pò di fortuna, è possibile anche avvistare alcuni rari esemplari stanziali come il falco pellegrino, il gheppio e la poiana. Tra le specie rupestri tipiche di quest'area è facile osservare il corvo imperiale, il colombo selvatico, il rondone e, tra le specie marine, è comune il gabbiano.
La riserva è contigua a quella dello Zingaro che è stata la prima ad essere istituita in Sicilia nel 1981.
Le torri.
Le torri che si trovano lungo il litorale tra Scopello, San Vito Lo Capo e Custonaci, facevano parte del sistema di fortificazioni esistenti sulle coste siciliane a difesa dai pirati turchi. Nel Mediterraneo infatti si verificavano spesso incursioni di pirati e corsari e le popolazioni sul mare vivevano continuamente nel terrore di queste scorrerie.
Fu nel 16° secolo, quando la Sicilia apparteneva ai domini della Spagna, che nacque l'esigenza di perfezionare e incrementare le difese costiere. Pertanto nel 1584 venne affidato all'ingegnere Camillo Camilliani di Firenze l'importante compito di perlustrare il litorale siciliano allo scopo di esaminare lo stato delle torri esistenti. Dopo l'esplorazione, il Camilliani si rese conto della necessità di progettare nuove torri per integrare il vecchio sistema che ormai risultava insufficiente.
Le varie torri erano in grado di mettersi in contatto, in caso di avvistamento di navi nemiche, attraverso segnali che consistevano in fumi di giorno e fuochi di notte.
Trattandosi di costruzioni militari, l'architettura delle torri era molto semplice. Esse erano prive di qualsiasi ornamento esterno e l'unica eleganza architettonica consisteva nella sobrietà e nella severità delle linee.
Caratteristica è la pianta quadrata o rotonda, articolata su tre elevazioni: la base, il piano operativo e la terrazza. La cisterna raccoglieva l'acqua piovana per le necessità della guarnigione e si trovava alla base che era priva di ingresso. Alla torre si accedeva da una finestra del primo piano grazie ad una scala di legno o di corda che veniva ritirata dopo l'uso. Le scale in muratura e gli ingressi al pianterreno che oggi ritroviamo in alcune torri sono stati aggiunti in epoca successiva. La terrazza, luogo delle segnalazioni, era parzialmente coperta da una tettoia in legno ("pinnata") sulla quale si effettuava il servizio di ronda. La guarnigione della torre era composta da tre-quattro uomini, chiamati "torrari" (in seguito nel dialetto tale termine divenne sinonimo di persona burbera e dai modi bruschi), che alternandosi giorno e notte ininterrottamente, assolvevano il loro compito.
Le grotte.
Lungo il litorale, tra Scopello, San Vito Lo Capo e Custonaci, si trovano diverse grotte che, importanti sotto il profilo geologico e paleontologico, presentano caratteri morfologici di grande interesse.
Particolarmente famose sono quelle che si trovano in località "Uzzo" (San Vito Lo Capo) e in località "Scurati" (Custonaci). Si tratta di enormi antri che si allungano divenendo più stretti verso l'interno, di formazione sia carsica sia marina.
Queste grotte testimoniano la presenza di un habitat preistorico di grande valore storico ed archeologico per i diversi ritrovamenti di fossili, armi, utensili vari di selce, graffiti, ed i resti di alcuni animali ritrovati nell'antro risalenti fino al Paleolitico Superiore.
L'esame dei resti trovati e la stratificazione emersa dagli scavi fatti nella grotta, ha infatti reso possibile conoscere, con una certa approssimazione, l'evoluzione dell'uomo negli ultimi 10000 anni e le sue abitudini di vita.
Le grotte vennero usate anche in altri periodi storici e per vari motivi. Nell'800 furono rifugio per gli eremiti; durante l'ultimo conflitto bellico (1940-1945) diedero asilo agli sfollati; in parte, ancora oggi, sono ricovero per animali e uomini, deposito di masserizie e attrezzi di lavoro.
Sono state anche oggetto di esplorazioni e di studi e, sia la quantità che l'importanza dei vari reperti, hanno dato un notevole contributo alla conoscenza della cultura preistorica in Sicilia. I primi ritrovamenti risalgono agli anni 1925-1927 ed i materiali rinvenuti si trovano oggi conservati nel museo preistorico di Torre di Ligny (Trapani), in quello archeologico di Palermo e nei locali della Pro Loco a San Vito Lo Capo.
Negli ultimi decenni, fatta eccezione per la grotta dell'Uzzo all'interno della Riserva Naturale dello Zingaro, non c'è stata alcuna attività di ricerca scientifica nelle altre grotte del litorale.
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